LE DISTANZE NEI RAPPORTI DI VICINATO
La distanza esatta dei confini è sempre stata, nel corso della storia dell'umanità, argomento di grandi diatribe e, molto spesso, di vere e proprie guerre. Intere nazioni hanno mutato dinamicamente le proprie frontiere in funzione dell'andamento socio-politico o per interessi economici, sfociando, purtroppo, in lunghe contese internazionali o conflitti estenuanti, anche solo per pochi ettari di terra sterile.
Il problema delle distanze ha quindi, da sempre, rappresentato il pretesto per battaglie tra vicini, sanguinose in passato e a colpi di carta bollata oggi. Il testo fondamentale per la rappresentazione giuridica italiana del tema è il Codice Civile agli articoli 873 e seguenti fino al 907.
E' importante innanzitutto capire che cosa è oggetto del rispetto di tale normativa. Per fabbricato, o meglio per costruzione , si intende ogni opera non completamente interrata, di particolare consistenza, solidità tale da risultare infissa al suolo in modo stabile (o anche immobilizzata rispetto ad esso). Sono pertanto soggetti a dover rispettare le distanze non solo i classici edifici, ma anche parti accessorie di essi quali corpi scale, muretti, muri di rampe, pilastri, etc..
Il problema principe sulle distanze che è stato posto dal legislatore è stato quello di attuarsi per evitare la formazione di stretti cavedi tra le abitazioni, tipiche dell'urbanistica passata dei centri storici, ovvero evitare la costruzione di “dannose intercapedini”. Per intercapedine si intende –in senso giuridico- lo spazio vuoto scoperto tra fabbricati esposto alle intemperie e tale da creare pericoli per l'igiene o la sicurezza dei medesimi.
La distanza minima fra le costruzioni per non generare intercapedini è di tre metri, ma regolamenti comunali possono stabilire distanze maggiori, anche rapportate alla sagoma degli edifici adiacenti o alle proiezioni dei calibri stradali. Per le nuove costruzioni la distanza minima tra edifici è di almeno dieci metri e ancora di più se tra i due edifici passa una strada a traffico veicolare. Il riferimento normativo in questo caso è il decreto ministeriale 1444 del 2 aprile 1968 . Unica eccezione si configura se due fabbricati costruiti da oltre venti anni , hanno una distanza al di sotto di quelle regolate dalla Legge e i proprietari non hanno mai fatto nessuna obiezione: si parla in questo caso di usucapione e cioè il possesso protratto per un lungo periodo di tempo che si trasforma in diritto o proprietà vera .
La distanza tra i confini di fondi finitimi , fermo restando quella tra gli edifici, deve essere generalmente superiore a metri cinque , come sancito dalla maggior parte dei regolamenti comunali locali, anche se la Cassazione , con sentenza numero 2331 del 1983, ha ribaltato la normativa riconoscendo la possibilità di un accordo tra i proprietari dei terreni confinanti per ridurre la distanza minima.
Anche balconi e finestre devono rispettare delle distanze minime di Legge dai confini per tutelare il diritto della privacy: in questo caso è necessario limitare la veduta. Per veduta si intende un'apertura che, oltre ad avere le funzioni di dare aria e luce al locale cui è destinata, permette una comoda inspectio in alienum , ovvero dà la possibilità di guardare nel fondo limitrofo. Cosa diversa se parliamo di luci , ovvero aperture tali da consentire il passaggio di aria e luce, ma che non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino. L'art. 905 c.c sulle distanze per l'apertura di vedute dirette e balconi, sancisce che “non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo . Non si possono parimenti costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere”.
Concludendo è utile accennare anche le distanze da osservare nella piantagione di alberi dal confine. L'art. 892 c.c. enuncia: “chi vuole piantare alberi presso il confine deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti e in mancanza dagli usi locali. Se gli uni o gli altri non dispongono, devono essere osservate le seguenti distanze dal confine: tre metri per alberi di alto fusto; un metro e mezzo per gli alberi di non alto fusto e mezzo metro per le viti, gli arbusti, le siepi, etc.. La distanza si misura dalla linea di confine alla base esterna del tronco dell'albero nel tempo della piantagione, o dalla linea stessa al luogo dove fu fatta la semina”.